Traumi e lutti Roma - Gabriella Attimonelli
Gabriella Attimonelli psicologa e psicoterapeuta a Roma
Gabriella Attimonelli
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Traumi e lutti

Il concetto di trauma è un concetto complesso. Il termine è a volte associato all’evento che determina una serie di conseguenze negative per la persona, a volte alle conseguenze stesse. È utile perciò distinguere tra evento traumatico conseguenze traumatiche.
Per quanto riguarda gli eventi traumatici è difficile categorizzarli in maniera precisa in quanto possono avere caratteristiche di traumaticità sia eventi particolarmente negativi ed “eccezionali”, quali morti, uccisioni, terremoti, rapine, incidenti sia eventi considerati di minore entità o pericolosità, quali separazioni, perdita del lavoro, trasferimenti, ecc…

Allo stesso modo appaiono svariate, sia per qualità che per intensità, le reazioni individuali a tali eventi. Si possono avere da normali reazioni di adattamento a reazioni che causano la compromissione della qualità della vita delle persone, come nel caso dello sviluppo di un Disturbo Post-traumatico da Stress.

C’è infine un’altra categoria che emerge in maniera sempre più evidente nel lavoro clinico con i pazienti e sulla quale è importante impostare un adeguato trattamento ed è quella dello sviluppo traumatico. Lo sviluppo traumatico può essere dovuto sia ad un singolo evento traumatico capitato nella vita del bambino che ha poi determinato la compromissione del suo sviluppo emotivo e/ o relazionale o più frequentemente una serie di eventi successivi durante lo sviluppo, che trovano nella sintomatologia o nelle difficoltà della vita adulta la loro esplicitazione.

Disturbo post traumatico da stress o Trauma conseguente ad un evento specifico

Perchè si possa effettuare questo tipo di diagnosi devono esistere alcune particolari condizioni. In primo luogo deve esserci stata esperienza diretta di un evento che implica una minaccia di morte o un grave danno fisico o altri tipi di minaccia all’integrità fisica; o essere stati testimoni di un evento che minacci o sia un reale danno per l’integrità fisica di un’altra persona; o venire a conoscenza di una morte violenta o improvvisa o di un grave danno fisico che ha colpito una persona cara. Ci deve essere inoltre una reazione oltre la soglia di orrore e spavento. Aqueste condizioni si devono aggiungere alcuni dei sintomi delle seguenti categorie:
– sensazione di rivivere il trauma, come  ricordi intrusivi, flashback, incubi.
– sintomi di evitamento e di confusione, evitamento di luoghi, situazioni, persone associate al trauma, alienazione, scarso interesse, sensazione di precarietà del futuro.
– sintomi di iperattivazione emotiva come irritabilità, scatti di rabbia, stato di allerta.

Questo stato influisce su una serie di aspetti cognitivi quali la memoria, la concentrazione, l’attenzione, le strategie di coping e le credenze personali. Spesso è associato un intenso rimuginino che rinforza e mantiene sia l’ evitamento che le credenze disfunzionali createsi in seguito al trauma. Queste possono riguardare in particolare il sè (sono irrimediabilmente rovinato) oppure il futuro (la mia vita non sarà mai più come prima).

Di natura simile ma di intensità inferiore dal punto di vista sintomatologico e di compromissione del benessere della persona è il Disturbo dell’adattamento che può manifestarsi in seguito ad un avvenimento di varia natura, un lutto, la perdita del lavoro, un trasferimento, una separazione e che produce nella persona sintomi depressivi e/o ansiosi e difficoltà a trovare un proprio equilibrio e benessere nella nuova condizione.

Sviluppo traumatico

Questo tipo di trauma si riferisce o ad una serie di eventi negativi che si sono succeduti durante lo sviluppo della persona come ad esempio perdita dei genitori, maltrattamenti, abusi, trascuratezza o comunque allo sviluppo di una relazione non accudente da parte della famiglia. Durante questo tipo di sviluppo vengono a mancare i presupposti emotivi per la formazione di un senso di sè sicuro, fiducioso, stabile e aperto con conseguenze tra le più svariate, dai disturbi d’ansia a quelli dell’umore, ai disturbi della personalità che tanto influenzano la qualità e la stabilità delle relazioni sociali ed affettive della vita adulta.

Sempre più spesso in terapia ci occupiamo di persone che riferiscono storie di sviluppo traumatiche nel senso stretto, ma anche di relazioni difficili o non appaganti con le proprie figure di riferimento. Spesso si rivolgono a noi per problemi legati alle relazioni interpersonali, perché si trovano a vivere relazioni sentimentali insoddisfacenti o problematiche, oppure relazioni complicate con la famiglia di origine che anche nella vita adulta tende ad essere presente in maniera negativa e conflittuale.

Cosa si può fare?

In tutti questi casi si può fare tanto per stare meglio ed uscire da situazioni dolorose che influenzano negativamente il nostro presente ed anche il nostro futuro.
Sicuramente è importante rivolgersi ad uno specialista, psicologo e psicoterapeuta che possa inquadrare il tipo di problematica ed impostare il trattamento adeguato.
Di solito è più facile o comunque consueto chiedere aiuto in seguito ad un evento particolarmente doloroso che ci ha sconvolto, in quanto riusciamo ad individuare da soli una causa precisa e quindi attivarci in maniera più efficace per affrontarla, oppure veniamo consigliati da persone vicine. Nel caso dello sviluppo traumatico le cose non sono invece così semplici perché il più delle volte non riusciamo ad individuare da soli una relazione tra le nostre difficoltà da adulti e la nostra storia evolutiva, di attaccamento alle nostre figure di riferimento. Solo attraverso la psicoterapia è possibile evidenziare i meccanismi relazionali e affettivi appresi durante l’infanzia che ci accompagnano e guidano da adulti e rivederli alla luce del presente, spezzando quei circoli viziosi che non ci consentono di vivere al meglio i nostri rapporti.
Perciò soprattutto se il problema persiste da lungo tempo o tende a ripresentarsi con frequenza, è utile chiedere una consulenza, un parere ad un esperto che possa aiutarci a chiarire le idee e a considerare le azioni possibili per venirne fuori.

L’elaborazione del lutto

Cosa accade dentro di noi quando qualcuno a cui vogliamo bene ci lascia? Cosa ci aiuta a tollerare il dolore e a superarlo definitivamente e quali sono, invece, gli ostacoli che non ci permettono di arrivare a rimarginare completamente la ferita?
Quando si parla di lutto ci si riferisce normalmente alla morte.  In realtà la condizione in cui una persona cara ci lascia e si allontana definitivamente da noi non è una condizione psicologicamente molto differente da quella in cui ci troviamo quando una persona cara muore. In entrambi i casi ciò che dobbiamo affrontare è il dolore, più o meno intenso, della perdita.  I sentimenti connessi alla perdita sono un miscuglio di dolorose emozioni, di pena, rabbia, colpa, rimpianto, vuoto e abbandono. Alcune di queste emozioni ci travolgono come ondate e ci lasciano sopraffatti, altre sembrano radicarsi e persistere a lungo nel tempo. Senza contare che la perdita di una persona amata può risvegliare un senso generale di doloroso abbandono radicato in precedenti episodi della nostra vita.

Elaborare il lutto significa avviare un processo di comprensione piena della perdita, di recupero del valore e dell’affetto che il legame con la persona che viene a mancare ci ha regalato e di riacquisizione di fiducia nel legame con un altro essere umano nonostante la possibilità che questo essere umano venga a mancare.

Il modello di elaborazione del lutto più noto in psicologia prevede che un essere umano affronti normalmente cinque fasi a seguito della perdita di una persona cara.

Fase della negazione o del rifiuto. E’ la fase in cui evitiamo e neghiamo la realtà della perdita, è come se non ce ne rendessimo conto. In questa fase capita di pensare a quanto successo e stranirci, sentirci come se fossimo in un sogno e prima o poi ci sveglieremo.  Questo meccanismo ci protegge dal provare emozioni che, in quel momento, riteniamo essere intollerabili. Inizialmente questo meccanismo è funzionale e ci aiuta a “prenderci del tempo” per organizzarci ma alla lunga, se non si evolve in meccanismi più maturi, la negazione della realtà può assumere connotati patologici e richiedere un intervento professionale.

Fase della rabbia. In questa fase cominciano a manifestarsi quelle emozioni intense e difficili che abbiamo evitato nella fase precedente. La fase della rabbia è la fase in cui ci pensiamo che ciò che ci è accaduto sia ingiusto e sbagliato, ci arrabbiamo con chi ha “permesso” che la persona alla quale volevamo bene morisse (in alcuni casi medici, sanitari, parenti) e meditiamo vendetta. E’ una fase critica nel processo di elaborazione del lutto in quanto molto spesso è il momento di massima richiesta di aiuto della persona ma allo stesso tempo non sempre e non automaticamente il paziente è sufficientemente pronto ad accogliere l’aiuto. Spesso le emozioni di rabbia e una condizione di chiusura rispetto alla possibilità di risoluzione prevalgono sul resto.

Fase della contrattazione. E’ la fase in cui riprendiamo in mano la nostra vita e “negoziamo” con noi stessi e con gli altri in quali progetti possiamo ancora investire nonostante la perdita e nonostante il dolore. E’ la fase in cui la rabbia comincia a scemare e si affacciano alla coscienza emozioni di tipo depressivo miste a piccoli momenti di speranza nel futuro in cui sentiamo di voler “salvare il salvabile”.

Fase della depressione. Rappresenta il momento di autentica presa di coscienza della perdita, il momento in cui ricordiamo le cose belle vissute con la persona cara e la disperazione per tutto ciò che non rivivremo più diventa palpabile. Ci rendiamo conto di quante cose di noi sono state “plasmate” da chi non c’è più e il pensiero della perdita ci fa sentire sconfitti e disperati.

Fase dell’accettazione. Quando riusciamo a dare un senso a quanto è successo, a inscrivere la perdita nell’ordine naturale delle cose, a trattenere e ricordare quanto di buono è accaduto sopraggiunge la fase dell’accettazione.  Durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità moderata.

C’è da sottolineare che il lutto e le sue fasi di elaborazione/comprensione rappresentano processi normali e dunque non patologici. Secondo il modello che abbiamo appena presentato, il lutto diventa patologico nel momento in cui il soggetto non evolve verso una comprensione piena e più o meno serena di quanto accaduto ma si “attarda” in una fase precedente.

Non è infrequente assistere a casi  di pazienti in cui le emozioni di dolore e rabbia per la perdita di qualcuno sembrano non affiorare neppure alla coscienza. Sono i casi in cui sembra che la persona stia bene, che non soffra, che non ceda alla tristezza sebbene sembri piuttosto anomalo. Altrettanto frequenti sono i casi in cui la rabbia e il desiderio di vendetta prendono il sopravvento su ogni altra emozione e non consentono alla persona di “salvare” il senso del legame e recuperare fiducia nel futuro.

Questi, a titolo di esempio, sono i casi in cui è possibile che un supporto psicologico sia indicato per superare meglio e bene il dolore, che a volte sembra autenticamente  insopportabile, della perdita.

La morte di una persona cara produce nella vita di un bambino un dolore molto intenso e duraturo e può rappresentare un fattore di rischio per il successivo sviluppo.
A causa del lutto si infrange il presupposto fondamentale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro, la presenza costante del genitore. Questo ha un importante impatto sullo sviluppo del senso di sicurezza personale poiché il bambino non ha ancora stabilito un senso di sé autonomo e indipendente dalla protezione del genitore.

Quando un bambino è piccolo la morte del proprio genitore è sempre traumatica. Di solito avviene a causa di una malattia, un incidente, un suicidio.
Il bambino oltre a reagire alla morte del genitore può sviluppare ansia nei confronti del genitore sopravvissuto.
Anche i lutti subiti dai genitori (quindi indiretti per il bambino) influenzano la relazione d’attaccamento e per questo i genitori vanno supportati nell’elaborazione in modo che la relazione possa stabilirsi correttamente.

Un lutto traumatico può determinare un disturbo post traumatico da stress. Spesso i bambini esposti ad un lutto precoce presentano depressione, ADHD, disturbi oppositivi, disturbi della condotta.

Fattori di rischio e Fattori protettivi

Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di un PTSD esistono:

  • La gravità dell’evento
  • Il grado di esposizione e la durata
  • La reazione del genitore
  • La presenza di traumi precedenti o difficoltà relazionali.

Trai i fattori di protezione:

  • L’atteggiamento degli adulti
  • La presenza di un attaccamento sicuro
  • L’atteggiamento dei genitori

Non è semplice stabilire il confine tra il dolore “normale” e quello traumatico in quanto questi due processi sono connessi tra loro. Quello che li differenzia dipende da diverse circostanze interne ed esterne.

Tra le circostanze esterne ci sono:

  • Il modo in cui la morte è avvenuta
  • Che tipo di conoscenza ha il bambino rispetto ad essa
  • Se il bambino ha assistito alla morte
  • Il modo in cui è stata comunicata la notizia al bambino
  • La qualità del supporto ricevuto dal bambino da parte degli adulti

Tra le circostanze interne ci sono:

  • Il livello di sviluppo del bambino
  • Le capacità cognitive del bambino
  • Le sue risorse emotive

Purtroppo esistono molti luoghi comuni rispetto alla sofferenza del bambino in caso di lutto e sulle modalità per supportarlo. E’ perciò molto importante sapere esattamente cosa fare e cosa non fare per aiutarlo.

Tra questi i più diffusi sono pensare che i bambini non soffrano per le perdite, che si riprendano molto facilmente o al contrario che siano segnati per sempre da questo evento. Che siano troppo piccoli per capire, che debbano essere tenuti all’oscuro di ciò che accade per non farli soffrire.

 

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