LE SOMATIZZAZIONI: QUANDO LE EMOZIONI NON POSSONO FLUIRE
“Nell’impossibilità di pronunciare le emozioni, le parole rimangono sotterrate vive” N. Abraham , M Torok, 1978.
Mente e corpo sono aspetti diversi di un’unica realtà e le malattie psicosomatiche rappresentano la manifestazioni più netta e precisa dell’unità indissolubile che esiste tra essi.
Le somatizzazioni si manifestano con sintomi fisici che farebbero pensare ad un disturbo di tipo medico ma, in realtà, non sono riconducibili ad esso. Chi soffre di somatizzazioni (disturbi somatoformi) si sottopone a controlli medici accuratissimi in quanto sperimenta realmente la presenza di sintomi/disturbi/disagio a livello fisico senza però che questi disturbi siano correlati ad una precisa patologia.
Quasi sempre i clinici rintracciano l’eziologia di questi disturbi non corpo ma nella mente. Più nello specifico, un sintomo psicosomatico può essere espressione dell’esistenza di emozioni, vissuti o “pezzi” di sè inespressi o sconosciuti che fanno fatica a “venire a galla”.
Lowen ( 1997) descrive ciò che tipicamente emerge nella clinica delle somatizzazioni: personalità apparentemente adeguate, in cui i sintomi nevrotici hanno una qualità drammatica e dominano il quadro clinico.
Fondamentale per tutti questi disturbi è che sono durevoli, relativamente immutabili e rappresentano una sorta di substrato di base di un adattamento mancato/alterato, di carenze o distorsioni che limitano la capacità di adattarsi con successo agli eventi della vita.
Le persone stesse spesso dimostrano di essere una delle principali sfide per l’identificazione e il trattamento efficace dei disturbi psicosomatici. Per tutti noi generalmente accettare l’idea di un’integrazione indissolubile tra mente e corpo è difficile. Per i pazienti psicosomatici in particolare, è arduo tollerare che il funzionamento della propria mente influisca inevitabilmente sul corpo e viceversa. Tuttavia è proprio questo legame strettissimo tra il corpo e la mente a determinare, ad esempio, il piacere e il dolore così come la salute o la malattia.
Gli esseri umani hanno sviluppato un livello elevatissimo di consapevolezza di come e quando la vita, per diversi motivi, possa essere a rischio ma la mente spesso non distingue se il pericolo sia realmente presente o semplicemente immaginato. Il corpo riconosce a malapena la differenza tra realtà e immaginazione e risponde, come meglio sa fare, all’incertezza, alle novità e agli attacchi con l’attivazione del sistema simpatico.
Le connessioni tra mente e corpo
Quando si attiva il sistema nervoso simpatico ( SNS ), ormoni come le catecolamine (cioè adrenalina e noradrenalina ) vengono rilasciati e l’ipotalamo secerne contemporaneamente fattore di rilascio della corticotropina. Il rilascio della corticotropina produce ormone adrenocorticotropo dal lobo anteriore della ghiandola pituitaria. Questo ormone a sua volta stimola la corteccia surrenale a rilasciare cortisolo, un ormone dello stress che aiuta il sistema immunitario a funzionare in modo efficiente.
Il rilascio di cortisolo crea risposte come l’aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e respiratoria e della sudorazione. L’attivazione del SNS in presenza di un fattore stressante provoca inibizione del sistema immunitario, aumentando così la vulnerabilità del corpo alla malattia. La comunicazione tra il cervello e il sistema immunitario è bidirezionale, nel senso che lo stress può influenzare il cervello nell’ innescare la risposta immunitaria e la risposta immunitaria può indurre cambiamenti nel sistema nervoso centrale (CNS). Un rapporto alterato tra stress e risposta immunitaria può diventare cronico aumentando il rischio di malattie infiammatorie, neurodegenerative e autoimmuni.
La risposta infiammatoria, se eccessiva o di lunga durata, diventa il prerequisito di molte malattie, come la malattia coronarica.
Disturbi psicosomatici
Nelle vite di tutti esistono episodi, momenti, esperienze, traumi che lasciano un segno indelebile, quasi sempre nascosto. A volte queste esperienze traumatiche vengono vissute in maniera reiterata per mesi, spesso per anni. Come è noto, è quando si è più piccoli che è più complicato, per ragioni psicologiche e neurobiologiche, dare un senso agli eventi negativi e rielaborare in senso positivo anche le esperienze più negative. Trascuratezze, soprusi e nei casi peggiori abusi e molestie generano emozioni violente e molto difficili da sostenere per un bambino. Così, accade che i contenuti psichici legati a queste esperienze del passato vengano dissociate e tenute “alla larga” dalla consapevolezza così da preservare una parvenza di equilibrio psichico e di benessere. L’economia delle emozioni, però, non prevede che contenuti così importanti ma così inaccettabili e negativi possano distruggersi e così, questi contenuti psichici legati al ricordo di esperienza traumatiche vengono “esternalizzate” sul corpo. E’ il corpo a soffrire laddove la mente non può darsi il permesso di farlo. Una serie di ricerche recenti ha dimostrato che pazienti con alcuni tipi di disturbi somatoformi avevano punteggi molto alti nelle scale che misurano la dissociazione. L’uso della dissociazione come meccanismo difensivo occupa un posto centrale nel processo di gestione immediata del trauma. La persona dissocia parti di sè, crea un rifugio mentale dalla paura e dal dolore evocati dall’evento traumatico. Il dolore, però, emerge comunque “travestito”, ad esempio, da rettocolite, da eczema o da dispareunia.
Sempre più spesso nella pratica clinica, dunque, emerge una correlazione netta tra l’esistenza di traumi relazionali non riconosciuti e spesso neppure ricordati e sintomi psicosomatici.
La ricerca scientifica ha oramai reso evidente che il lavoro psicologico sul trauma possa e debba essere affrontato con tecniche validate e sicure. clinico.
Il sintomo è una contraddizione, un paradosso, poiché è un modo di esprimere la vitalità e allo stesso tempo di difendersi da essa; la manifestazione di “un problema” e insieme un tentativo di risolverlo.
Allo scopo di evitare una situazione critica o di evitare sensazioni sgradevoli l’essere umano ha sviluppato nel corso dell’evoluzione capacità ben sviluppate di ignorarle: si tratta di specifici e accurati processi corporei atti a negare le sensazioni corporee che segnalano la presenze di tali situazioni. Ad esempio per evitare la paura è necessario bloccare la micromotilità dei muscoli epigastrici e diminuire l’ampiezza del respiro e questo vale anche per altre attività del nostro corpo. Tutto ciò porta alla comparsa di un dolore fisico intermittente che con il passare del tempo si stabilizzerà in una tensione cronica.
La tensione cronica ha numerose conseguenze fisiologiche come, per esempio, alterazioni metaboliche nella parte del corpo corrispondente, aumento della secrezione di alcuni ormoni e diminuzione di altri, e molti altri processi medici. Qui avviene allora che la tensione cronica diventa manifestazione di un disturbo.
La Terapia con questo tipo di sofferenze si focalizza sulla costruzione, insieme al paziente, di una vera e propria “mappa” esperienziale della connessione tra il sintomo e il tipo di relazione interpersonale sostenendo il paziente: